L’intervento di Sandra Zampa all’iniziativa:
Parliamo di scuola: oltre il grembiule.
Innanzitutto desidero ringraziare gli organizzatori per avermi invitato a questo incontro e vorrei anche scusarmi con loro, con i relatori e con tutti voi se mi vedrete andare via un po’ prima della conclusione: devo ripartire, come immaginate, per Roma.
L’incontro che anche qui a Castenaso avete sentito l’urgenza di organizzare è uno dei tanti dedicati in queste settimane alla Scuola, oggetto di un’azione di riforma che riforma non è, per due ragioni fondamentali e strettamente connesse tra loro.
La prima di metodo e la seconda di contenuto. Non si può pensare di riformare la prima e più importante risorsa di un paese a colpi di decreto legge senza aver avviato un serio e approfondito dibattito con tutte le componenti del mondo della scuola, insegnanti, dirigenti e sindacati, con le famiglie e dunque con la società civile, e infine con tutte le forze politiche, disconoscendo di fatto il ruolo del Parlamento così come sancito dalla nostra Costituzione. La seconda ragione è la totale assenza, in questa normativa, di una vera e comprovata esigenza pedagogica, mentre del tutto evidente appare la volontà di operare tagli di spesa indiscriminati e pesantissimi per corrispondere alle esigenze della finanziaria.
8Miliardi di euro ai quali si aggiungeranno altri 4Miliardi previsti dal Piano programmatico, 87.000 cattedre saranno cancellate e salteranno 42.000 posti del personale ATA. A questo proposito voglio condividere con voi una riflessione che mi sta molto a cuore: gli insegnanti e il personale della scuola che ho incontrato in queste settimane non hanno mai riferito, in sede di dibattito, la loro personale e comprensibilissima preoccupazione per il proprio posto di lavoro. Certo hanno più volte richiamato la grave situazione dei precari della scuola, ma sempre riferendosi ad un contesto più ampio nel quale prevale la preoccupazione per l’assenza di un progetto pedagogico e per la sottrazione del tempo scuola per le prossime generazioni di studenti. Questo non solo conferma che la nostra classe docente è composta da professionisti seri e preparati, ma dimostra che i lavoratori del comparto scuola sarebbero stati disposti ad aprire, con gli organismi competenti, un confronto serio e approfondito su un progetto di autentica riforma del sistema scolastico italiano che certo necessita di una nuova progettazione che sia però frutto di un’analisi corretta a partire dai dati statistici. Avremmo così non solo evitato questo indiscriminato gioco al massacro di quel segmento del sistema scolastico italiano che è secondo in Europa e sesto nel mondo, come rilevato dall’indagine Pirls, ossia il segmento della scuola elementare, ma fatto ancora più importante, avremmo potuto far luce sulle ragioni delle scarse performance dei nostri studenti della media di primo e secondo grado a confronto con i loro coetanei in Europa.
Ma a questo governo non è parso importante e fondamentale aprire un’indagine conoscitiva vera, forse per paura di scoprire che in Europa storicamente si investe meglio e di più per l’istruzione. (Per ogni studente della primaria la nostra spesa è vicina alla media OCSE, ma i nostri risultati sono i migliori. Ma mentre in Italia dal 1995 al 2005 la spesa per l’educazione è cresciuta del 12%, in Europa è cresciuta del 41%.
La percentuale rispetto al PIL, al 2005, è passata dal 4,8 al 4,7% in Italia, mentre la media OCSE è del 5,8 %).
Le cronache riportano i dati del consenso di questo governo e del ministro Gelmini, ma la lettura dei dati va accompagnata da una riflessione senza la quale non si possono trarre conclusioni che risultano altrimenti del tutto ingannevoli.
Se prima di calare questa mannaia sulla scuola si invadono le pagine della stampa e i telegiornali con affermazioni, tutte da dimostrare, che tendono a sostenere che la scuola è invasa da un sovrannumero spaventoso di personale non docente, che la classe dei docenti è sopradimensionata e non all’altezza del compito affidatogli dallo Stato, se insomma prima si innesca nell’opinione pubblica la diffidenza e poi si passa con metodi decisionisti, come la decretazione d’urgenza e il voto di fiducia, a cancellare i due maestri in favore del mastro unico, cavalcando la stessa sfiducia che si ha contribuito ad alimentare, la gente pensa che tutto sommato stai solo governando bene. Con buona pace della nostra classe di docenti, sottopagati e ingiustamente denigrati, e con buona pace della democrazia e del ruolo del Parlamento.
Il maestro unico, tuttologo, che passa dalla storia alla grammatica è anacronistico e non potrà, con le sue sole forze, che realizzare un didattica stile anni 60, lontanissima dagli obiettivi che un grande paese industrializzato deve sapersi porre. Fine della sperimentazione di nuovi processi educativi, fine della ricerca di nuovi metodi di insegnamento, fine dei laboratori, fine delle visite ai musei. Solo lezioni frontali, solo un maestro che si sentirà davvero solo perchè preparato ad essere un maestro plurale, solo una voce, solo un pensiero. Mentre i saperi alti sono un continuo divenire, un continuo concorrere di idee, un’inesorabile ricerca.
E per meglio completare l’opera del pensiero unico è stata presentata e purtroppo approvata dalla maggioranza, anche se in modo non del tutto unitario, l’aberrante mozione della Lega,firmata dall’on Cota, ma anche dagli on.li Garagnani e Mazzuca.
La mozione non è la risposta al problema, se il problema che davvero ci poniamo è l’integrazione dei bambini stranieri e delle loro famiglie. Non lo è dal punto di vista didattico, non lo è dal punto di vista sociale.
Separare un bambino dai suoi pari è pratica crudele.
La nostra Costituzione afferma con l’art.34 che la scuola è aperta a tutti e la legge 517 del 1977 definisce il carattere inclusivo della scuola italiana dapprima rivolgendosi agli allievi disabili e via via anche agli studenti stranieri.
Alla scuola devono essere garantiti gli strumenti per realizzare la piena integrazione delle bambine e dei bambini stranieri perché saranno loro, in un futuro molto vicino, assieme alle bambine e ai bambini italiani i prossimi cittadini del nostro Paese. E anche qui vi propongo la mia ultima riflessione: questo governo e la Lega hanno seminato la diffidenza e la paura nei confronti dell’immigrazione in modo indiscriminato e demagogico. Ora si accingono a realizzare, a cominciare dai bambini, i più fragili e i più deboli tra tutti, luoghi di separazione con la scusa, tra le altre, di garantire ai bambini italiani un ritmo di apprendimento, che come vi ho detto è già ora il secondo in Europa, senza i ritardi, da dimostrare, causati dalla presenza di allievi non di madrelingua italiana. Così facendo i bambini italiani saranno privati dell’arricchimento che l’incontro con culture diverse produce, arricchimento culturale e umano. Cresceremo una generazione di bambini abituati a considerarsi privilegiati rispetto ai loro coetanei e coltiveremo nei bambini stranieri, gli adulti di domani, un sentimento di rivalsa e di frustrazione che non porterà certo alla realizzazione della pacifica convivenza.
Ma non sarebbe stato meglio pensare di continuare con il progetto del governo Prodi che prevedeva mediatori linguistici e insegnamento dell’italiano per i bambini stranieri inseriti nelle classi con i loro pari? Non sarebbe meglio cercare di educare alla multiculturalità e abituare i giovani a riferirsi al mondo della cultura consapevoli del debito che ogni civiltà ha nei confronti delle altre culture? I numeri? Sono arabi. Il concetto dello zero è arabo mutuato dall’India. La Divina Commedia è pervasa dalla filosofia araba….
O pensiamo invece che anche qui debba prevalere il pensiero unico, magari di chi si abbevera solo alle sorgenti del fiume Po?
In quale società vogliamo far crescere i nostri bambini, in una società divisa le cui componenti rischiano di scontrarsi per le strade delle nostre città o in una società in cui a tutti sono riconosciuti uguali diritti e gli stessi doveri? La politica ha il dovere di non appiattirsi sulle paure della gente. Deve saperle ascoltare, comprendere e rimuovere gli ostacoli e le differenze che non rendono possibile la pacifica convivenza. Come sancisce la nostra Carta costituzionale.